La storia dell’olio
L’olivo, nome botanico Olea Europea Sativa appartenente alla famiglia delle oleacee, era coltivato in Medio Oriente oltre 8000 anni fa. Diffuso, poi, dai Fenici nel Mediterraneo denominandolo “oro liquido”, ed apprezzato dai Greci che ne intensificarono le coltivazioni.
Pianta sempreverde, l’olivo ha esigenze termiche: non tollera temperature inferiori a 10 gradi durante la mignolatura (formazione delle infiorescenze), 15 gradi durante l’allegagione (formarsi del frutto), 20 gradi durante l’invaiatura (mutar colore dell’oliva dal verde al giallo al viola scuro), 15 gradi per arrivare alla maturazione completa e di 5 gradi al termine della raccolta.
I popoli del Mediterraneo cominciarono ad uscire dalla barbarie quando impararono a coltivare l’olivo e la vite. Questo scriveva Tucidide nel Quinto secolo a.C..
L’Olivo, pianta divina
La coltivazione dell’olivo inizia a Creta, intorno al 2000 a.C., inevitabilmente legata ad un mito: gli olivi locali crescono con il tronco doppio, premio divino alla devozione di due umili sposi che lodarono l’albero quando un dio scese dall’Olimpo e li interrogò sulle loro condizioni di vita. “Con l’olivo e l’acqua delle fonti abbiamo quanto ci serve - dissero - l’ombra d’estate, la legna per l’inverno, frutti nutrienti, l’olio per condire i cibi e per fare luce”.
Antico commercio dell'olio nel Salento
Per la posizione geografica della penisola salentina essa è certamente vero ponte gettato verso l'Oriente, molte le popolazioni si avvicendarono sul territorio fin dalle epoche più antiche: Messapi, Japigi, Greci e Apuli, oltre ai Salentini, ancor prima della conquista romana. I primi prodotti di questa terra, e certamente i più pregiati, ad essere commerciati furono l'olio e il vino.
Nella seconda metà del 1400, Lorenzo il Magnifico inviò, nei paesi della Puglia, agenti commerciali che avevano il compito di ritirare oli, vini per portarli in Toscana.
Nel 1600 e nel 1700, nei porti di Terra d'Otranto il commercio olivinicolo si intensificò e raggiunse tutte le nazioni d'Europa imbarcavano vino (in recipienti di legno) e olio (in otri di pelle di capra).
L’olio veniva prodotto nei frantoi ipogei detti “trappiti”.
Il Salento è una miniera di oro liquido, l’olio d’oliva e per la lavorazione di quest’oro sono state realizzate nel corso dei secoli delle “cattedrali sotterranee” frantoi ipogei.
Come l'ulivo è l'aspetto paesaggistico caratterizzante del panorama salentino, il trappeto sotterraneo è stato parte imprescindibile della cultura economica e sociale del Salento. Sono spazi che si sentono immediatamente familiari, che invitano a penetrarli, a conoscerli, a riviverli, perché sono stati costruiti da padri che pensavano alle necessità dei figli.
Perché ipogei? Il motivo più comunemente noto che faceva preferire il frantoio scavato nel sasso a quello costruito a pianterreno era la necessità del calore. L'olio, infatti, diventa solido verso i 6° C. Pertanto, affinché la sua estrazione sia facilitata, è indispensabile che l'ambiente in cui avviene la spremitura delle olive sia tiepido. Il che poteva essere assicurato solo in un sotterraneo, riscaldato per di più dai grandi lumi che ardevano notte e giorno, dalla fermentazione delle olive e, soprattutto, dal calore prodotto dalla fatica fisica degli uomini e degli animali.
A partire dal XIX secolo i frantoi ipogei furono progressivamente dismessi - per ragioni molteplici conseguenti soprattutto all'evoluzione industriale ed a più raffinati ed idonei processi di lavorazione - e sostituiti gradualmente a frantoi semiipogei ed infine in elevato. |